06-05-2010 - La Catagna

Di Giulia Cannada Bartoli
Via dalla folla? Questo è il posto che fa per voi. La Catagna Club, nella zona del Poggio, praticamente la parte più alta e isolata che si affaccia direttamente sul Golfo di Miseno. Capo Miseno è il resto di un antico edificio vulcanico facente parte dei Campi Flegrei, datato fra i 35.000 e i 10.500 anni fa. E’ situato su di un unico asse insieme ad altri due vulcani situati verso nord e datati alla stessa epoca, costituiti l’uno dal porto di Miseno (i cui bordi residui sono riconoscibili nel lungo isolotto ricurvo di Punta Pennata e di fronte ad esso nelle due punte di Punta Terone e Punta della Sarparella), mentre l’altro vulcano forma tutto il rilievo che caratterizza il centro antico di Bacoli, da Punta del Poggio e Piscina Mirabile fino a Centocamerelle. Proprio tra Punta del Poggio e la Piscina Mirabilis si trova quest’antro del gusto. Qui Enea seppellì il timoniere Miseno prima di scendere negli inferi attraverso la Sibilla. Il nome Catagna deriva infatti dal dialetto bacolese e procidano “ncatagnare”, nascondersi, “infrattarsi, da cui il termine anfratto nascosto e tana di pesci. Qui nel 2003 i fratelli Della Ragione, Crescenzo ed Elio con la mamma Amalia, cuoca naturale per vocazione, decidono di trasformare il ristorante quotidiano di casa propria (la cucina di Donna Amalia è nota in tutta la zona e la casa ha continuamente ospiti a pranzo e cena ) in un’attività vera e propria, grazie anche alle esperienze fatte da Crescenzo come chef e barman all’estero e poi in zona flegrea e alla passione condivisa e vitale per il mare che dura da sei generazioni. Una piccola casa sul mare e un micro patio scosceso, 20 posti d’inverno e massimo 30 d’estate. Idee chiare: cucina di mare, tradizione fortemente locale e legata al pescato del giorno, per questa ragione non c’è menù, dipende da quello che i fornitori di fiducia, in primis il padre di Crescenzo ed Elio portano a casa quel giorno, il primo dalla propria barca da pesca, il secondo dal mercato. Esiste un menu’ degustazione, piu’ o meno fisso per tutti ma è strettamente quotidiano e se il pesce finisce o, è cattivo tempo, il ristorante resta chiuso, o, in inverno, se si ha fortuna, si puo’ assaggiare il vero ragù di Mamma Amalia, confessato e comunicato. Qui non ci si arriva per caso, la clientela è molto selezionata, gourmand di città, qualche turista, pochi posti e prenotazione obbligatoria, mi domando il perché. I piatti di mare sono essenziali e sublimati dalla freschezza delle materie prime e da un equilibrato ed elegante stile nel presentare la tradizione più pura. Come dicevo tutto varia, dipende dalla “capa” del mare, dalla fortuna del pescatore e dalla fantasia dei cuochi Amalia e Crescenzo. In sala ci pensa Elio. Gli antipasti: riso aromatizzato con crudo di gamberi, ma non chiamatelo sushi, crostini caldi con burro e alici di Cetara, insalata di mare con patate e sconcigli, fantastica zuppetta di alici, ricetta bacolese della mamma di Amalia. Una sorta di “pizzaiola” con pomodorini, cipolla al posto dell’aglio, origano e altre erbe aromatiche, appena un po’ liquida con crostini. Magistrali polipetti affogati con crostini ed un tocco di piccante insolitamente abbinati ad humus di ceci stile arabo, connubio delizioso. Si chiude con l’ultimo antipasto, saporita coppetta di fagioli e cozze di Baia su crostini e salsa di pomodoro, ulteriormente esaltata da un filo d’ olio a crudo, guardo la piccola bottiglia sul tavolo: Ravece in purezza San Comaio di Zungoli, questi ragazzi ci sanno fare. Sarei già sazia. I tempi sono giustamente lunghi, il menu degustazione riesce a garantire una certa omogeneità di tempi di uscita tra i vari tavoli, ergo, all’arrivo del primo piatto, meraviglia e stupore: linguine di Gerardo di Nola con “rancio” fellone e “paparella”, guardo Elio con aria interrogativa :” what is paparella? Mi spiega che si tratta delle rarissime piccole cicale di mare, praticamente introvabili, si attaccano qualche volta alle nasse dei pescatori, quelle grandi, le “Magnose” sono piu’ comuni. Intanto mi godo la vista mozzafiato su Capo Miseno, antico porto militare dei Romani, dove triremi e quinqueremi venivano tirate a secco per il rimessaggio prima delle battaglie con i cartaginesi, sull’altro versante il Golfo di Pozzuoli con il Rione Terra in lontananza. Arrivano tre opzioni di secondo, tutto pescato un paio d’ore prima: tranci di dentice o merluzzo alla brace aromatizzalo con colatura di alici di Cetara e “fravaglie e’ Rotunni” (piccoli pesciolini fritti, le menole in italiano e in dialetto anche dette ‘mmennelle’). Vada per il merluzzo e due pesciolini fritti: sapori antichi, il mare ritrovato. Semplice e croccante insalata per contorno. Anche la scelta dei dolci è tradizionale e fresca del giorno, nessun avanzo: crostata di profumate fragoline, soffice babà e tradizionalissima zuppa inglese, scopro che c’è uno chef pasticciere: Maurizio Bentivoglio fratello di mamma Amalia. E il vino? Poche ma bene selezionate etichette campane tradizionali. Per il menù degustazione completo spenderete circa 45 euro, vino incluso.
Da www.lucianopignataro.it
|